N.9 - Buona scuola e "otri vecchi"

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“Non si mette vino nuovo in otri vecchi”: il monito evangelico mostra tutta la sua saggezza anche in relazione alla Buona scuola. Lodevole, veramente lodevole l’intenzione di valorizzare il merito nella progressione di carriera, noi di Diesse lo chiediamo da sempre; ma all’interno di un contesto che resta ferreamente centralista è un'intenzione destinata al fallimento.

Prendo spunto dalle interessanti osservazioni di Reginaldo Palermo pubblicate di recente su La tecnica della scuola. In sintesi: una madre di famiglia, che non ha tempo per corsi di aggiornamento, attività aggiuntive eccetera non potrà avere gli aumenti per merito. È un’ingiustizia, una discriminazione che colpisce le madri a discapito di altre categorie. Ho subito pensato a mia figlia, ventotto anni, che comincia adesso a insegnare, un figlio piccolo, altri – presumibilmente – in arrivo: è tra le escluse. Poi ho pensato a me, ho fatto due conti: per tirar grandi i miei quattro figli ho sempre dovuto fare, accanto alla scuola, altri lavori; e alle condizioni della Buona scuola continuerò a farli, e rinuncerò agli scatti. Perché per corsi di aggiornamento, attività aggiuntive eccetera dovrei rinunciare ad altre occupazioni ben più remunerative: non mi conviene, meglio rinunciare agli scatti.

Dov’è il problema? si dirà. È semplice. Poniamo che mia figlia – non io, per carità… - sia un’ottima insegnante, competente nella sua materia, bravissima nel rapporto con i ragazzi, capace nella didattica: perché dovrebbe restare esclusa dagli scatti? Magari a vantaggio di un altro che dedica tutte le sue energie a corsi di aggiornamento, attività aggiuntive eccetera e poi in classe non sa proprio stare? Ecco dov’è il problema: nel fatto che se i criteri del merito saranno quelli previsti dalla Buona scuola il risultato è presto detto: chi non ha altro da fare che la scuola si butterà su corsi di aggiornamento, attività aggiuntive eccetera e accumulerà crediti puramente formali, mentre chi ha altre attività e interessi resterà escluso; il tutto indipendentemente da quel che conta davvero, ossia la capacità di svolgere il proprio lavoro di insegnante, che si vede nel lavoro in classe. Perché, inevitabilmente, limitarsi a calcolare tot ore di corsi di aggiornamento, tot di attività aggiuntive eccetera è facile, oggettivo, non dà adito a contestazioni; valutare il lavoro in classe è un ginepraio, che nessuno vorrà affrontare.

Cosa c’entra tutto questo con gli otri vecchi? L’otre vecchio, fuor di metafora, è l’ordinamento centralista, che pretende di determinare a monte e universalmente quanti docenti (il 66%? Perché? Chi dice che è la percentuale giusta?) e quanti quattrini (a conti fatti, un risparmio per il Tesoro…). Mentre la condizione imprescindibile perché una valutazione della professionalità docente sia reale e non formale è affidarla totalmente all’autonomia delle scuole. Solo una scuola davvero autonoma, con un certo budget da gestire autonomamente, è in grado di decidere – nel Consiglio di Istituto, dove siedono anche i diretti interessati, le famiglie e gli studenti, trasformato in organo di autogoverno e non di illusoria “partecipazione” – quali strumenti di valutazione, quali criteri, quali numeri, eccetera. Ci saranno disparità? Certo, come ovunque nella vita. E poco a poco, come ovunque nella vita, i sistemi più efficaci si faranno strada, miglioreranno effettivamente la qualità di una scuola, le altre cercheranno di adeguarsi (anche solo per non perdere iscritti, siamo realisti), e lo scopo potrà essere raggiunto. Altrimenti – non me ne voglia l’ottimo Palermo – per dare l’aumento anche a mia figlia restiamo nella prospettiva di un egualitarismo che è il cancro della scuola.