Difficoltà per gli insegnanti anziani

A scuola è stata una bella giornata. Mentre fuori stava nevicando fitto fitto, i ragazzi hanno lavorato comunque con entusiasmo. In seconda media abbiamo sviscerato un argomento attraverso un’attività operativa. Gli scolari hanno lavorato in gruppo. Hanno costruito, collaborando ed aiutandosi, alcune figure geometriche; ne hanno identificato le caratteristiche e le proprietà. Poi si sono confrontati con i compagni degli altri gruppi traendone le conclusioni. Al termine, l’analisi del testo ed alcuni esercitazioni hanno permesso loro di consolidare il concetto. Una particolare atmosfera si è creata nell’aula. C’era un chiacchierio piacevole, sintomo di un atteggiamento creativo e produttivo. Silvio¹, Aldo e Carola, terminata la loro prestazione, non si sono seduti sugli allori, bensì (dopo aver chiesto il mio permesso) si sono improvvisati “tutors” dei compagni che, per difficoltà sia di tipo cognitivo che di tipo manipolatorio, non riuscivano ad eseguire la consegna. E mi ha aperto il cuore osservare con che dedizione si offrivano per aiutare i loro amici, affinché anche per loro potesse essere possibile eseguire il compito con successo.
Gli allievi di prima hanno rappresentato il Teatro dei Numeri… ma lo racconterò un’altra volta… Nel pomeriggio abbiamo avuto la lezione iniziale di un corso di recupero. Gli alunni, di varie classi di seconda media riuniti in un unico gruppo, erano restii, un po’ impauriti e poco motivati. Si sono seduti nei banchi con malavoglia. Ho fatto una piccola indagine di conoscenza ed ho chiesto loro come vedessero la matematica - noiosa, lontana dalla realtà - e li ho invitati ad esprimere un voto di gradimento. Calcolando la media il valore si è fermato sul 4,75. (Il mio giudizio, 10, da loro visto con stupore, non è riuscito a far raggiungere una media sufficiente. Anzi, Milvia ha espresso addirittura 0.). Però, dopo aver lavorato recuperando alcuni concetti di base, Massimo ha detto “È stato bello!”. Mi ha fatto piacere: una piccola soddisfazione.

Rientro a casa. Sto tremando…cosa mi succede? Sono accaldata; misuro la temperatura: 39,2°C! Sono anni che non mi capita di ammalarmi. Spero di riprendermi presto. A scuola mi devono sostituire (e quindi qualcuno dovrà fare ore in più rispetto al normale orario di servizio!). Certo non sarà piacevole per i miei colleghi viste le problematiche di questi giorni che rendono tutto più faticoso: neve, gelo, ghiaccio e riunioni varie. Sono un po’ mortificata. Con altre patologie delle vie respiratorie, con l’emicrania, con dolori vari - anche forti - sono sempre riuscita ad andare a scuola, ma questa volta, come dice una mia collega, non posso “fare l’eroe”! La malattia si prolunga. Oltre all’influenza ho anche problemi al braccio sinistro: non riesco assolutamente a muoverlo. Si tratta di una dolorosa periartrite. La terapia è piuttosto intensa. Sono costretta a riposare. Mi preoccupo però per i ragazzi. Mi siedo al P.C.; col braccio funzionante prendo i libri di testo e, per ogni ora di lezione, individuo una possibile esercitazione. Chi mi supplirà, senza doversi assumere particolari oneri se non di assistenza, potrà far svolgere le attività agli alunni (in coppia, visto che sono già abituati) per non perdere il contatto con la matematica e le scienze. Scrivo tutto in un documento che invio per posta elettronica.

Quando, finalmente, riprendo la scuola, mi sento meglio. La settimana sarà impegnativa: oltre alle consuete lezioni, alle incombenze della funzione docente, agli impegni inerenti il coordinamento di una classe, ci sono tre rientri pomeridiani per un seminario di aggiornamento, il corso di recupero e un incontro coi genitori, ma confido di potercela fare!
Lungo il viale di entrata dell’istituto noto Sonia che sta conversando con le amiche. Mi vede con la coda dell’occhio, si volta, mi dice “Buongiorno, prof!”. Ma non sono le parole a colpirmi; sono i suoi occhi, il suo sorriso, la sua espressione. Il linguaggio non verbale è sicuramente molto più eloquente ed esprime un sentimento sincero. Le rispondo “Ciao, Sonia!” con uno sguardo riconoscente. Arrivo in sala docenti: i colleghi si interessano della mia salute, mi augurano una buona ripresa. Nel atrio Gemma, Silvio, Giorgia, Franca, Paolo … si avvicinano con un vociare allegro: “Bentornata prof, come sta?”. Ed io mi sento pronta a ricominciare.
In particolare in prima media illustro la fase del progetto di educazione ambientale che andremo a realizzare nei prossimi giorni. Con la L.I.M. visioniamo la mappa del territorio del nostro comune e individuiamo il luogo meta della prima uscita; lì vi è una struttura che visiteremo e nella cui aula didattica verrà realizzata un’esperienza scientifica. Sullo schermo tracciamo l’itinerario del nostro percorso a piedi. Poi entriamo nel sito dell’Amministrazione provinciale per acquisire informazioni più dettagliate sul impianto preposto a salvaguardare e a tutelare l’ecosistema locale. I ragazzi sono curiosi, fanno molte domande, sperano che arrivi presto il momento dell’uscita. Nelle altre classi, invece, si prosegue il lavoro sospeso a causa della mia malattia dopo aver verificato, con un colloquio collettivo, quello da loro svolto in mia assenza sulla base delle indicazioni da me fornite.

Alla fine della settimana sono un po’ stanca. Ci sono le vacanze di Carnevale, cerco di rilassarmi. Purtroppo il mio fisico indebolito non riesce a reggere un ulteriore attacco virale. Non sto bene… E sono ancora ammalata. E pensare che, come tutti gli anni, mi sono vaccinata! Non riesco a crederci… Ricomincia tutto di nuovo! Da casa preparo le proposte di attività da svolgere in classe e le spedisco a scuola. Sono dispiaciuta; gli allievi di prima rimarranno delusi: purtroppo l’uscita tanto attesa verrà rimandata…

Rifletto. Forse il mio corpo ha voluto darmi un segnale! Negli ultimi anni, da quando siamo passati dal tempo prolungato al tempo normale (da due a tre classi e quindi un aumento del 50% di alunni!), gli impegni si sono intensificati: lezioni da preparare, verifiche da strutturare e poi correggere, riunioni varie, responsabilità di coordinamento, corsi di aggiornamento rispetto alle nuove tecnologie, alle nuove metodologie, alle nuove modalità di valutazione (test Invalsi) ed alle nuove disabilità... Ed inoltre l’età avanza: negli anni si perde un po’ di elasticità, si diventa più lenti, le incombenze diventano più onerose… ed i giovani studenti, invece, sono sempre più vivaci e desiderosi di vivere esperienze attive e coinvolgenti. Chissà come riuscirò ad assecondare la loro vitalità quando mi avvicinerò alla fine del mio percorso!

Mi auguro che in futuro venga presa in considerazione la possibilità di valorizzare la professionalità e l’esperienza che un insegnante ha acquisito nel tempo, per differenziare compiti e ruoli in funzione dell’“anzianità” (quello che si potrebbe definire flessibilità del lavoro, tanto di moda in questo periodo). Un giovane docente, nel pieno delle forze e più vicino alla mentalità degli studenti, può dedicare la maggior parte del suo orario di servizio (fisso e settimanale²) al insegnamento effettivo con tutte le possibilità di tipo logistico che si possono prospettare. Al contrario, un insegnante un po’ più “maturo” (sempre con lo stesso orario di servizio fisso settimanale) potrebbe assumere incarichi specifici nel ambito della funzione docente. Per esempio:


  • seguire gruppi di studenti con necessità particolari;

  • ideare e realizzare iniziative atte a favorire l’inclusione di tutti (gli alunni eccellenti, quelli con B.E.S.), considerando anche le nuove indicazioni che pervengono dalle istituzioni (vedi problematiche relative ai D.S.A.);

  • incontrare gli operatori delle A.S.L.;
  • stendere ed organizzare progetti di istituto in collaborazione con le agenzie del territorio (biblioteche, associazioni culturali ed ambientali, enti locali ecc.);

  • mantenere i contatti col mondo della ricerca e della didattica;

  • accompagnare come tutor disciplinari il percorso dei tirocinanti;

  • gestire i laboratori;

  • supplire i colleghi assenti e molto altro ancora.


So che per molti insegnanti³ sopraggiungono, con l’età, difficoltà di vario tipo, che addirittura favoriscono l’insorgenza di patologie specifiche; parecchi decidono di abbandonare. Ma io mi chiedo: dove va a finire tutto il bagaglio di conoscenze culturali, educative e didattiche che un docente si è costruito nel tempo? Non è meglio fare tesoro di risorse umane che possono ancora essere utili per la realizzazione di una vera comunità educante?

¹ I nomi sono di fantasia
² Vedi Diario di dicembre 2011
³ Vedi documentazione su Diesse Lombardia Sportello “Io ti ascolto”