Le tracce dei temi dell'Esame di Stato

Riportiamo una riflessione di una docente di lettere in margine ai titoli dei temi saggio degli esami di stato


L’analisi del testo

Quest’anno si è scelto di proporre un autore non noto agli studenti, di cui probabilmente non conoscono nemmeno la corrente letteraria o la poetica. Perché? Da insegnanti non si può che ritenere legittima una scelta di questo tipo: può essere una manifestazione di stima chiedere a studenti del quinto anno di camminare con le loro gambe e azzardare un ragionamento autonomo su un autore mai studiato, anche se si rischia di tagliare fuori una buona fetta di utenza. Poi guardi bene la traccia e ti vengono dei dubbi. Dopo aver buttato via le inutili informazioni biografiche a margine del testo, ti soffermi sulle domande guida e ti rendi conto che di ragionamento autonomo si chiede davvero poco. I quesiti, fatta eccezione per il 2.1 e il 2.2, non richiedono grande perspicacia e capacità interpretativa, ma soltanto la comprensione del livello più superficiale del testo. Senza nulla togliere all’importanza e alla serietà del tema del rispetto dell’ambiente, va detto che le indicazioni guida mostrano invece un interesse per l’aspetto più superficiale (la logica del profitto, i danni dell’uomo all’ambiente, la società che premia la cattiveria dell’uomo, ...). Ma Caproni - come forse solo i poeti sanno fare - va ben oltre il messaggio ecologico, già sentito e risentito. Come si può interpretare il titolo Versicoli quasi ecologici? Chi è il “voi” a cui si rivolge il poeta? Cosa vuole dire il poeta quando afferma che l’uomo è fatto anche del pino e del galagone? Cos’è quell’amore che secondo Caproni “finisce dove finisce l’erba”? Tutte queste domande non sono minimamente considerate dalle indicazioni guida, che portano invece lo studente a svolgere la sua analisi sul terreno del politically correct.
Poi leggi il 2.8 e ti cadono le braccia: per cinque anni tenti di spiegare agli studenti che gli aspetti stilistici e retorici dei testi letterari non sono fini a se stessi, ma funzionali al messaggio, per poi trovarti all’esame finale quesiti che presuppongono l’esatto opposto. Nello specifico si chiede di analizzare la misura dei versi, di riconoscere enjambement, rime, assonanze e consonanze. Oltre a non esserci il minimo accenno alla funzione espressiva di tali espedienti, si tralasciano figure retoriche importanti, che avrebbero messo davvero alla prova le competenze degli studenti e avrebbero consentito riflessioni sul significato, come la metafora“uccidete il mare”, la personificazione “l’acqua muore”, il chiasmo “dove finisce l’erba e l’acqua muore” e la sinestesia “aria verde”.
Dunque la scelta di questo testo non sembra dettata dall’intento di misurare realmente delle competenze o di concludere un percorso di studio della letteratura, ma di sensibilizzare ad un problema fondamentale (non privo di risvolti politici), rimanendo tuttavia in superficie senza indagarne le ragioni profonde. In questo senso i versi finali della poesia suonano come una sentenza: la terra sarebbe più bella senza l’uomo. Ma è davvero questo che vogliamo comunicare ai nostri ragazzi? E’ questa l’ipotesi più interessante che abbiamo?

Saggio breve e articolo

Nella traccia di ambito artistico-letterario si continua ad insistere sul rapporto tra uomo e natura, tornando finalmente ad autori conosciuti ed a testi spendibili. Per quanto si tenti timidamente di inserire elementi che presuppongano un rapporto positivo con la natura, l’emozionalità del quadro Idillio primaverile e l’allusività de I limoni di Montale, la visione prevalente sembra essere in linea con la tipologia A: tra uomo e natura c’è incomunicabilità e avversione. Dell’idea, tipicamente medievale, che la natura sia data all’uomo, che ne è custode e beneficiario, non c’è traccia; della concezione galileiana secondo cui la Natura sarebbe un libro con cui Dio parla all’uomo non c’è traccia; della convinzione, propria di un certo romanticismo, che la natura contenga un Mistero che chiede di essere indagato, non c’è traccia. Nemmeno un briciolo di fiducia sembra essere concessa all’uomo, la cui sostanziale malvagità viene ribadita ancora una volta nella traccia di ambito storico-politico: «La natura sa distruggere infinite cose ma tutte possono essere riparate dagli uomini. Purtroppo è l’uomo ad essere in grado di annientare per sempre ciò che altri uomini hanno fatto prima di quelli che ignorano la propria missione».
Le tracce di ambito socio-economico e tecnico scientifico, incomprensibilmente somiglianti tra loro e in qualche modo collegabili anche al tema di argomento storico, non sembrano spostarsi rispetto alla questione centrale. Trattano infatti entrambe della robotica e dell’automazione, emblema del progresso tecnico delle specie umana.

Tema di ordine generale

Il culmine di quella che sembra essere una grande operazione di ammaestramento da parte del Ministero della Pubblica Istruzione viene raggiunto con il tema di ordine generale, che riesce a riannodare i due filoni sopra descritti. Il brano che fa da traccia contrappone il progresso tecnico-scientifico, «di natura esterna, collettiva e culturale», a quello morale e civile, «di natura interna, individuale e biologica». Secondo l’autore il primo tipo di progresso costituirebbe il nostro vanto, mentre il secondo procederebbe a rilento. La ragione di questa differenza in termini di velocità risiederebbe nella confusione tra i due diversi tipi di progresso. L’autore afferma che si possono acquisire conoscenze anche a distanza, leggendo libri di persone del passato, mentre per i precetti morali è più difficile, perché vanno non solo conosciuti ma anche messi in pratica.
Dopo aver spiegato che non c’è possibilità di rapporto tra la natura e l’uomo, che il problema della terra è l’uomo, dopo aver richiamato i progressi dell’uomo in ambito tecnico-scientifico, ecco il grande principio: l’uomo è radicalmente diviso, da una parte ciò che riesce a fare in termini di innovazione, dall’altra il problema morale, ridotto a meccanicismo. Ma manca il fattore fondamentale: la libertà. L’uomo è diverso da ogni altro essere vivente perché è dotato di ragione e libertà e proprio per questo è capace tanto di grandi gesti e di nobili scoperte, quanto di innovazioni aberranti e azioni riprovevoli. Quello che rispetta la natura e quello che la distrugge è lo stesso uomo. La divisione di cui si parla è una pura astrazione: lo scienziato quando studia può forse obliterare la propria coscienza, staccarsi da sé e dal problema di cosa ritiene giusto o sbagliato? Può forse evitare di fare i conti con la propria libertà?
Trasportiamo lo stesso dualismo nella vita scolastica di tutti i giorni. Chiunque lavori con i ragazzi sa perfettamente che non basta che essi leggano o ascoltino qualcosa per capirlo ed apprenderlo: la loro libertà deve essere implicata in una relazione educativa, devono riconoscere l’oggetto di studio come interessante per sé e piegarsi ad esso per comprenderlo. Lo stesso vale per il problema morale: quante volte diciamo agli studenti come devono o non devono comportarsi, ma senza riuscire a smuoverli di un millimetro! E quando il loro atteggiamento cambia? Quando la loro libertà è sfidata da uno sguardo o da una parola, da una stima che percepiscono su di sé, da un fatto nuovo che si introduce nel loro orizzonte. La libertà dell’uomo è il motore di ogni progresso, tecnico-scientifico e morale, se così si può definire.
Da una tale concezione dell’uomo non può che derivare una totale disistima nei confronti degli studenti, ai quali questo capolavoro di scetticismo - legittimo, beninteso - viene propinato come verità assoluta, senza nemmeno il beneficio del dubbio. Non si vuole davvero conoscere l’opinione dei candidati, ma spingerli ad avallare una tesi precostituita. La considerazione finale aggiunta alla traccia «I tuoi commenti personali potranno certamente conferire più originalità e maggior completezza all’elaborato» è retorica pelosa, che oltre tutto presuppone l’idea che la traccia in sé sia già completa ed originale. Ma non sarebbe più bello chiedere agli studenti cosa pensano del progresso, dei suoi risvolti positivi e negativi, cosa pensano del problema morale? Perché dire loro in anticipo cosa devono pensare?
È una trappola in cui noi insegnanti possiamo cadere: davvero siamo interessati a conoscere le opinioni dei nostri alunni o in fondo li invitiamo ad confermare le nostre? Rispettiamo e stimiamo la loro libertà? Abbiamo a cuore la loro libertà più che il nostro progetto, pur edificante e corretto?
Penso siano domande che tutti ci dobbiamo porre.