È partito il TFA - Il tirocinio abilitante è una bella occasione anche per i docenti di ruolo e le scuole. Ecco perché.

È appena stata pubblicata (2 marzo) una nota del Miur avente per oggetto le problematiche concernenti l’attivazione e lo svolgimento dei corsi TFA.
Esattamente un anno fa scrivevamo sull’attivazione del Tfa: a distanza di un anno ci chiediamo, che cosa è rimasto delle aspettative di allora?

La nota del Miur sul Tfa
Risponde lo stesso documento del Miur che parla di fase ‘molto tormentata’ di avvio dei nuovi corsi abilitanti.
Non vorremmo qui fare una disamina delle varie difficoltà organizzative connesse con questo inizio del Tfa: ha fatto bene, comunque, il Miur ad intervenire con questa circolare, per chiarire i rapporti di collaborazione che devono intercorrere tra università, istituzioni scolastiche e Uffici scolastici regionali, giacché il decreto 249/2010 ‘mette in gioco competenze e attribuzioni trasversali’.
Lo stesso ministero, in merito, ha ricevuto ‘numerose segnalazioni su diverse problematiche inerenti l’organizzazione e lo svolgimento’ dei percorsi abilitanti (in merito, ad esempio, all’assegnazione alle scuole dei tirocinanti, alle ore di tirocinio per chi già insegna, ai casi di maternità e così via). Su questo si veda quanto puntualmente scritto nell’editoriale pubblicato sul nostro sito qualche settimana fa.
E non c’è dubbio che molte inadempienze siano state causate dello stesso Miur, che non ha sempre bene vigilato sull’avvio dei TFA, per cui i corsisti si troveranno a dover svolgere le ore richieste di tirocinio al limite della fattibilità, da qui a giugno.

Collaborazione fra università e scuole
Vorremmo però porre una riflessione più generale, sull’impostazione dei tirocini, perché già in queste prime battute stanno emergendo dei comportamenti che non possiamo condividere. In particolare, il decreto 249/2010 fa esplicito riferimento ai laboratori pedagogici-didattici e a “insegnamenti di didattiche disciplinari che, anche in un contesto di laboratorio, sono svolti stabilendo una stretta relazione tra l’approccio disciplinare e l’approccio didattico” (art. 10, comma 3c).
Il tirocinio nelle scuole e i laboratori sono stati i punti di forza delle vecchie Ssis: sarebbe veramente sprecare un’esperienza se i prossimi percorsi abilitanti non tenessero in debita considerazione questi strumenti. Non vorremmo che tutto (a causa de tempi ristretti e della confusione generale) si riducesse alle lezioni accademiche che, pur necessarie, non sono certo il cuore del Tfa. Perché questo percorso “insegna ad insegnare”, e si impara un mestiere – crediamo – vedendo un altro in azione e riflettendo sull’esperienza, su quel ‘sapere pratico’ di cui parla R. Schön, e che ormai risulta acquisito dalla ricerca internazionale. Il punto chiave è proprio l’idea che si impara un mestiere in un tirocinio guidato, accanto ad un maestro. In questo modo viene anche pienamente esaltata la figura del docente che, finalmente, assume un ruolo determinante e non subalterno.

Professionalità docente
Allora il Tfa chiama in causa tutti i docenti, perché chiama in causa la dignità del nostro mestiere, che ci vede in campo come professionisti, non semplici impiegati: per questo possiamo e dobbiamo avere lo spazio per testimoniarlo.
Come associazione di insegnanti crediamo fermamente nella bontà di una tale impostazione: per questo ci sembra fondamentale che, anche nei consigli di corso di tirocinio (che sono l’organo di governo del Tfa), il ruolo dei docenti (coordinatori tutor) sia realmente paritetico rispetto a quello degli accademici. In alcune università sta avvenendo questo scambio sinergico, ma in molte (troppe) no.
Così come ci pare indispensabile che i corsi disciplinari non siano la riedizione dei corsi universitari e che vengano attivati i laboratori didattici, che dovrebbero essere tenuti dai docenti di scuola, vista la loro peculiarità.
Peraltro: perché non riflettere maggiormente sul ‘luogo’ deputato alla formazione degli insegnanti? Perché il Tfa deve avere come sede l’università? Perché non pensare ad un istituto superiore predisposto ad hoc, come avviene in alcuni paesi esteri, costituito dai vari soggetti pariteticamente rappresentati (università, docenti delle scuole, associazioni disciplinari, associazioni professionali dei docenti)? E perché non immaginare un organismo (un gruppo paritetico di lavoro stabile, ad esempio) che possa incominciare a riflettere sugli esiti del Tfa, per ridefinirne, eventualmente, la struttura e l’organizzazione? In un momento di crisi come l’attuale non ci possiamo permettere di impegnare risorse economiche e umane per tenere in vita un organismo poco efficiente. E soprattutto non è immaginabile di non volere il massimo per la formazione dei giovani insegnanti, che saranno il futuro della scuola.

Il ruolo delle scuole
In tutto ciò, già da ora è comunque possibile un impegno concreto per il cambiamento. Nello svolgimento del Tfa è infatti fondamentale anche il ruolo delle scuole e dei tutor di scuola. Quest’anno un apposito decreto definisce i requisiti per entrare nell’elenco delle scuole accreditate presso gli Uffici scolastici regionali.
Vorremmo perciò fare una sorta di "appello"ai nostri lettori: perché non prendere in seria considerazione questa opportunità? Se crediamo nella formazione dei giovani, non possiamo esimerci dal porgere il nostro ‘saper pratico’. Oggi più che mai c’è bisogno che i nuovi docenti possano far riferimento a insegnanti ‘senior’ che testimonino innanzitutto una passione, una positività. Per questo non deve andare persa questa occasione. Non occorre essere super specialisti! È necessario solo il desiderio di dare una mano.
Per questo invitiamo chi non lo avesse ancora fatto, a dare la propria disponibilità ai propri dirigenti scolastici per diventare tutor accoglienti (tra l’altro, è prevista, anche se non definita, una forma di retribuzione per il tutor di scuola da parte delle università).
Il decreto 249/2010 prevede inoltre che siano proprio i tutor di scuola a redigere il piano formativo, ovvero il tipo di tirocinio da espletare, in accordo con l’università. Come associazione abbiamo già avuto richieste da parte di scuole per aiutare a stendere il piano per renderlo il più efficace possibile: invitiamo perciò i nostri lettori a chiamare i nostri uffici per un eventuale aiuto.
In ogni caso, non si tratta solo di fare un’opera di bene, ma di comprendere – tanto più in questo momento – che il rinnovamento della società italiana passa attraverso un’efficace azione educativa: non possiamo semplicemente aspettare che i ministri di turno promulghino leggi lungimiranti. Non sempre ciò è accaduto. Ma dovremmo operare come i monaci benedettini al tempo delle invasioni barbariche: non si misero a lamentarsi, ma iniziarono dal basso a cambiare la realtà. Ne è nata l’Europa. Non possiamo perderci d’animo ma, in un’ottica sussidiaria, possiamo iniziare a cambiare dove e come si può, sempre più appassionati della realtà, sempre più appassionati della “polis”.