Tempo di valutazioni di fine anno: come valutare le competenze degli studenti... dei docenti e dei partiti?

Sembra ieri quando si è insediato il 'vecchio' governo Monti: ora il Ministro Profumo ha passato già il testimone al Ministro Carrozza.
Lasciamo ad altri i bilanci: nelle aule e nei corridoi delle scuole, qualche insegnante non ha neppure imparato il nome del ministro uscente! Segno certamente di una imperdonabile sciatteria - che non si confà certo ad un uomo di cultura, quale dovrebbe essere un docente - ma segnale, anche, di uno scollamento tra i docenti e i palazzi romani. D'altra parte, da sempre, l'istruzione è stata considerata un pachiderma 'succhiasoldi', mai un investimento.

Valutare la politica
Verrebbe facile valutare il vecchio governo: non possiamo dire che il ministro uscente abbia avuto un'alta considerazione del corpo docente, anche se - dobbiamo dare atto - alcuni provvedimenti da lui firmati, sono segno di uno svecchiamento. Ci riferiamo in particolare al Regolamento del Sistema nazionale di valutazione, all'avvio del Tfa ed al supporto offerto al proseguimento delle prove Invalsi.

Valutare le competenze: un esempio di possibile autonomia
Pensiamo che un buon governo non debba costruire una società perfetta.
Un buon governo deve porre le condizioni perché l'insegnante possa esprimere al meglio le sue potenzialità, perché gli siano lasciati spazi di libertà reale, perché sia riconosciuto il suo impegno.
Non spetta certo allo Stato intervenire indicando le modalità per un buon insegnamento: che fine farebbe la libertà di insegnamento?
Eppure, quante volte, senza accorgercene, invochiamo l'intervento centralistico: ciò succede ogni qual volta - ad esempio - ci lamentiamo perché il Ministero ci chiede una prestazione didattica, senza darci le istruzioni. Si pensi, solo per fare un esempio (visto che siamo prossimi agli scrutini), alla questione annosa delle competenze e della loro certificazione.
Se è vero - sempre per stare all'esempio - che il Miur ha introdotto le competenze attraverso le Indicazioni per il curricolo, le Indicazioni nazionali dei Licei e le Linee guida per l'istruzione tecnica e professionale; e se è vero che non sono ancora pervenute indicazioni 'operative' dettagliate per la certificazione delle competenze attraverso una circolare ministeriale; perché mai le scuole dovrebbero volere un' ennesima ordinanza che dettagli 'come' certificarle?

Autonomia didattica
Ricordiamo che nel decreto attuativo dell'autonomia, il DPR 275/99, al capo II art. 4 si parla esplicitamente di autonomia didattica e l'art. 6 si intitola "Autonomia di ricerca, sperimentazione e sviluppo": al comma 1 si dettaglia che le istituzioni scolastiche curano "a) la progettazione formativa e la ricerca valutativa;....;c) l'innovazione metodologica e disciplinare".
Come dire, che da quasi 15 anni il legislatore ha invitato i docenti a 'prendersi' gli spazi di libertà didattica, anche nell'ambito della valutazione. Semmai il problema è che è sempre stata un'autonomia a metà, non piena. Ed è vero anche che i dirigenti non sempre hanno fatto camminare i loro docenti in questa direzione, spesso preoccupati di 'rispondere' alla legge, piuttosto che di interpretarla appieno.

Il vertice e la base
Per questo, se da una parte lo Stato deve indicare una strada, dall'altra non deve entrare nei minimi particolari, lesivi di quella autonomia che lo stesso regolamento dà in premessa, quando afferma che il Pof " comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, e valorizza le corrispondenti professionalità" (capo II art. 3).
D'altra parte, se continuamente i docenti protestano per le inadempienze della funzione centrale, il Miur si prende uno spazio di libertà che spetterebbe a tutte le scuole: e così, quando arriverà - ad esempio - una scheda di certificazione del primo ciclo più dettagliata di quella attuale, non si dovrà poi protestare, così come invece è successo quando, a furia di invocare istruzioni operative, lo Stato emanò, nel 2005, il famigerato decreto sul Portfolio (per fortuna mai attuato pienamente dalle scuole).
Di indicazioni ce ne sono già molte nei documenti ministeriali che abbiamo citato, legati al riordino: basterebbe ben guardarli e interpretarli alla luce di una professionalità matura. E' quello che molte scuole hanno fatto e stanno facendo, attivando corsi di aggiornamento per progettare percorsi capaci di sollecitare e certificare competenze: questa è la vera autonomia, quella cioè di docenti e dirigenti che si pongono responsabilmente di fronte alle leggi e ai decreti e le reinterpretano alla luce delle caratteristiche delle proprie istituzioni scolastiche e dei bisogni dei propri alunni, facendosi aiutare anche da soggetti esterni. come le associazioni professionali.

Che cosa chiediamo
Ed è proprio questo che chiediamo allo Stato e al nuovo ministro: non che intervenga per dare istruzioni per l'uso. Semmai che offra sempre più spazio ad insegnanti appassionati del proprio lavoro e che - per questo - soffrono nello stare in una scuola sempre più ridotta a soffocante gabbia burocratica, che risucchia forze e speranze.
Non si chiedono soldi e decreti: al contrario sarebbe necessario uno Stato che 'si ritirasse' un po', lasciando più autonomia.
Sarebbe veramente un atto di grande novità, mettere in risalto appieno tutte quelle scuole e quei singoli insegnanti - e sono molti - che hanno già costruito pezzi di scuola veramente riformata: perché non valorizzarli veramente, attraverso la costituzione - tante volte annunziata e mai realizzata - dell'organico dell'autonomia? Perché non premiare i docenti che in classe, costruiscono la vera riforma? Quella silenziosa e profonda, di maestri appassionati che amano il loro mestiere e hanno a cuore quei volti che ogni mattina si trovano di fronte e che chiedono un senso a cui ancorarsi.
La vera autonomia non la si concede: la si deve solo riconoscere.