La scuola riparte … in carrozza o a piedi?

Dopo tanto battage, è finalmente uscito il decreto "L'istruzione riparte", il Dl. 104/2013 del ministro Carrozza.
Certamente il Decreto contiene provvedimenti di buon senso, che fanno bene alla scuola, in senso lato. Altri provvedimenti, invece, sono più 'buone intenzioni' che interventi concreti. Si pensi ad esempio all'articolo 7 del decreto, destinato alla prevenzione della dispersione scolastica con l'apertura delle scuole nel pomeriggio: i fondi accantonati riguardano solo le spese di funzionamento, l'acquisto di materiali e servizi, prestazioni d’opera, mentre le spese per il personale sono invece a carico del Fondo dell’Istituzione Scolastica (FIS).
Altrettanto si può dire per quanto riguarda l'articolo 8, che incrementa le attività di orientamento: indicazione opportuna, soprattutto in un momento come questo, di disorientamento per i giovani. Peccato che il tutto venga fatto con i soldi che già ci sono: infatti le attività ricadono all'interno delle 80 ore di "attività funzionali all'insegnamento" non aggiuntive, quindi obbligatorie per i docenti. Lodevole iniziativa, sia ben chiaro: che però finisce per diventare un riconoscimento economico per enti, associazioni, camere di commercio e imprese, cioè di fatto un mondo 'esterno' alla scuola; e si concretizza in un peso aggiuntivo per i docenti. Infatti i progetti di orientamento sono da inserire obbligatoriamente nel POF: cosicché, gli oneri organizzativi – gratuiti – sono dei docenti, gli onori – economici – di altri.

Ciò che può far bene alla scuola

Non vogliamo però dire che il decreto sia privo di buone intenzioni: la ratio sottesa pare incentrarsi soprattutto sul recupero del disagio sociale, il contenimento della spesa per le famiglie,e – come sempre – la diffusione della cultura digitale.
Alcuni provvedimenti, come dicevamo, possono certamente essere di giovamento alla scuola. Si pensi, ad esempio, alla riduzione del costo dei libri di testo, ai fondi per l'edilizia scolastica e a quelli per l'aiuto allo studio.
Tra questi, ci sembra significativo l'art. 6 sulla riduzione del costo dei libri scolastici. In verità, a parte l'intervento che funge da calmiere sulle spese che spesso hanno svenato le famiglie in questi ultimi anni, ci sembra significativo un altro aspetto, che potrebbe passare inosservato, ovvero il fatto che – finalmente – i docenti potranno non adottare i libri di testo. Questa è una grande novità. A parte il fatto che non è mai esistita una legge che 'obbligasse' il collegio docenti ad adottarli, la norma – finalmente – sembra dare ragione pratica all'autonomia scolastica. Infatti, seppure surrettiziamente, agli insegnanti viene riconosciuta la possibilità di gestire in massima autonomia il percorso didattico. Se è vero che l'obbligo dell'adozione era più un vincolo tacitamente disposto dal potere delle case editrici che dalla legge, è altrettanto vero che per decenni ha rappresentato anche una sorta di simbolo della "minorità" professionale degli insegnanti, quasi impossibilitati a insegnare senza un 'salvagente' un 'sussidio' dato dall'esterno. Ora, se effettivamente il libro di testo è un utilissimo strumento, e per molti insegnanti un aiuto indispensabile; occorre riconoscere che – in qualche modo – è stato una sorta di 'bisogno indotto'. Abituati da sempre e sempre più ad appoggiarsi al testo, coccolati con esercizi e soluzioni degli esercizi, viziati ora con apparati digitali e mappe di ogni genere e per ogni genere di alunni, i docenti sono diventati libro-di-testo-dipendenti.
Che finalmente si riconosca che tale strumento non è un obbligo, non vuol dire certo che gli insegnanti non debbano più usarlo, ma incominciare a pensare che esiste la 'libertà' di percorsi diversi, di materiali sostitutivi. Consideriamo quante scuole hanno iniziato a produrre testi alternativi, ad esempio antologie, libri di storia o di esercizi forgiati sulle reali esigenze degli studenti. Questa operazione è indice di vera autonomia ed espressione di una didattica realmente personalizzata. Certo, il centralismo è sempre più tranquillizzante ed in fondo comodo: ma la libertà nell'azione educativa è inappagabile.

Ciò che non fa bene alla scuola
Non altrettanto possiamo dire di altri articoli del decreto. In particolare l'art. 16 sulla formazione del personale e l'art. 5 sul potenziamento dell'offerta formativa, ci pare vadano esattamente nella direzione opposta.
Quest'ultimo prevede, oltre all'inserimento di un'ora di geografia economia nei programmi (che non dovrebbero più esistere!) degli istituti tecnici e professionali, anche, "al fine di promuovere la formazione continua dei docenti della scuola e la consapevole fruizione del patrimonio culturale", un concorso per la realizzazione di progetti didattici nei musei, nei siti di interesse archeologico, storico e culturale. Come docenti ci sentiamo un po' avviliti nel considerare che il potenziamento dell'offerta formativa si riduca ad un'ora di geografia, e – soprattutto – che per promuovere la formazione continua dei docenti il Miur arrivi ad ipotizzare un concorso per i progetti didattici nei musei! Sia ben chiaro, anche in questo caso l'iniziativa è lodevolissima e di grande interesse: ma ci sembra sostenga soprattutto i nostri patri musei, piuttosto che potenziare la creatività, la professionalità e le capacità dei docenti! Ancora una volta si procede dall'alto al basso, nell'ottica centralistica, che contraddice tutta l'ondata normativa di riforma degli ultimi anni.

Ciò che proprio non fa bene alla scuola
Ancor più in contraddizione con l'autonomia scolastica, tanto sbandierata, è l'art. 16 sulla formazione del personale, che accantona dei fondi per "migliorare il rendimento della didattica, particolarmente nelle zone in cui i risultati dei test di valutazione sono meno soddisfacenti ed è maggiore il rischio socio-educativo" attraverso "attività di formazione obbligatoria del personale". Al comma 2 si legge che le attività predette saranno organizzate "anche attraverso convenzioni con le università statali e non statali, da individuare nel rispetto dei principi di concorrenza e trasparenza". Ma quale concorrenza e quale trasparenza? Se già nel testo di legge non vengono neppure menzionate le scuole come soggetti erogatori della formazione ai docenti? E tanto meno le associazioni professionali degli insegnanti? Segno che, ancora una volta, il Dpr 275/99 sull'autonomia è lettera morta. È un'autonomia monca, funzionale ad una concezione centralista dello stato che concede da una parte – ma solo a parole – libertà, e invece poi impone un'azione dall'alto (formazione obbligatoria), indicando come unici soggetti abilitati le università. È evidente che l'accademia svolge un ruolo fondamentale nei confronti dell'aggiornamento dei docenti: ma non può certo diventare l'unico organo accreditato ufficialmente. Peraltro, occorre distinguere tra l'aggiornamento e la formazione, che ha bisogno di un ripensamento sull'azione didattica che può nascere solo attraverso una riflessione sull'azione stessa da chi è nella scuola, come la stessa università ha teorizzato negli ultimi decenni.
Ancora una volta, la scuola è tenuta in uno stato di minorità, apparentemente 'coccolata' con briciole elargite dall'alto: che altro sono, ad esempio, i biglietti gratuiti per entrare nei musei e nei siti archeologici? I 10 milioni di euro che verranno offerti al ministero dei Beni culturali, potrebbero essere stornati più proficuamente ai docenti come voucher da spendere liberamente per attività di aggiornamento più mirate: ad esempio, perché non finanziare la partecipazione dei 2000 docenti che assisteranno ai lavori della Convention della nostra associazione a Bologna dal 12 al 13 ottobre? E perché non riconoscere in qualche modo la loro partecipazione? Perché imporre una formazione obbligatoria senza riconoscere quella che già c'è, e di alto livello?
Sì, è proprio ora di ripartire, ma 'dalla scuola' e 'nella scuola' signor ministro!Le risorse ci sono, eccome! A lei valorizzarle, per rendere la scuola realmente migliore.