Dall'alternanza ai Bes: alcune novità di cui nessuno parla…

La scuola è un organismo strano: e chi vi lavora lo sa bene. Ci riferiamo, ad esempio, al fatto che alcuni decreti hanno larga eco e accendono gli animi; altri passano sotto traccia. Così è successo, in quest'ultimo periodo, agli esiti del monitoraggio sull'alternanza scuola lavoro e alla Nota del Miur del 22 novembre 2013 Prot. n. 2563 sui Bes.

Il monitoraggio sull'alternanza
L’alternanza scuola lavoro fa passi avanti nella scuola secondaria di II grado con un +20% di studenti coinvolti nell’ultimo anno scolastico (il 2012-2013) e un +57% di licei partecipanti. Così scrive il Miur, a proposito degli esiti del monitoraggio realizzato dall’Indire, da cui risulta anche che il 45,6% delle scuole secondarie di secondo grado ha utilizzato l’alternanza come metodologia didattica per sviluppare le competenze previste dall’ordinamento degli studi.
Nel documento si legge: "Come si attua in classe la disciplina 'lavoro'? Quale posto occupa nel curricolo reale? Forse occorrerà partire anche da lì".
Questione capitale quella sollevata nelle ultime righe del rapporto, ma - ci sia permesso dirlo - non si tratta di far diventare il lavoro una 'disciplina', semmai un 'metodo', dal momento che i percorsi in alternanza sono vincenti, perché gli studenti diventano protagonisti: analogamente può/deve accadere in aula, nell'azione quotidiana di insegnamento/apprendimento.
Questa è la vera novità dell'alternanza, nell'ottica di percorsi sempre più rispondenti alle esigenze, agli interessi, ai bisogni di ragazzi.

La Nota Miur sui Bes
Nella stessa direzione - anche se sembrano due prospettive lontanissime - si muove la Nota Miur del 22 novembre 2013, passata quasi inosservata nelle scuole. I Dirigenti più zelanti hanno voluto approvare all'inizio dell'anno il Pai (piano annuale per l'inclusione), alzando un gran polverone. Ottenuto l'atto formale, non si sono certo preoccupati di far lavorare su questa Nota che, invece, spazza via molti dei dubbi sorti nei Collegi (e forse contraddice molte decisioni già prese).Una volta tanto, una Nota ministeriale è poco burocratica e attenta alla realtà della classe. Per questo varrebbe la pena scorrerla (http://www.istruzione.it/allegati/prot2563_13.pdf).
Innanzitutto si afferma che "Resta fermo che il corrente anno scolastico dovrà essere utilizzato per sperimentare e monitorare procedure, metodologie e pratiche anche organizzative", contrariamente a tutti quei DS che hanno forzato la mano per costruire modelli cogenti già da quest'anno.
Inoltre si afferma che "la personalizzazione degli apprendimenti, la valorizzazione delle diversità, …sono principi costituzionali del nostro ordinamento scolastico recepiti nel DPR 275/99, laddove è detto che «Nell'esercizio dell'autonomia didattica le istituzioni scolastiche … possono adottare tutte le forme di flessibilità che ritengono opportune» (art.4)". Quindi il Miur ribadisce innanzitutto l'autonomia delle scuole. Tanto è vero che tutte le successive annotazioni vi fanno riferimento.

La compilazione del PDP per i Bes
Ad esempio quando la Nota chiarisce la differenza tra "momento di difficoltà", "gravi disturbi" e "disturbi di apprendimento", ribadendo che " la rilevazione di una mera difficoltà di apprendimento non dovrebbe indurre all’attivazione di un percorso specifico con la conseguente compilazione di un Piano Didattico Personalizzato". Come dire: si può (e di deve personalizzare), senza stendere un PDP!La Direttiva sui Bes - continua la Nota - " ha voluto in primo luogo fornire tutela a tutte quelle situazioni in cui è presente un disturbo clinicamente fondato, diagnosticabile ma non ricadente nelle previsioni della Legge 104/92 né in quelle della Legge 170/2010".
Questo significa che per stendere un PDP occorre un disturbo 'clinicamente fondato', ovvero che ci sia una diagnosi (anche di uno specialista, non necessariamente una certificazione).
Si evidenzia però anche che, pur senza diagnosi " si sono volute ricomprendere altre situazioni che si pongono comunque oltre l’ordinaria difficoltà di apprendimento, per le quali dagli stessi insegnanti sono stati richiesti strumenti di flessibilità da impiegare nell’azione educativo-didattica": si pensi ad esempio ai casi di ragazzi di recente immigrazione, di cui parla la stessa Nota.
Si fa però una sottolineatura fondamentale:"In ultima analisi, al di là delle distinzioni sopra esposte, nel caso di difficoltà non meglio specificate, soltanto qualora nell’ambito del Consiglio di classe (nelle scuole secondarie) o del team docenti (nelle scuole primarie) si concordi di valutare l’efficacia di strumenti specifici questo potrà comportare l’adozione e quindi la compilazione di un Piano Didattico Personalizzato" E "Si ribadisce che, anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA, il Consiglio di classe è autonomo nel decidere se formulare o non formulare un Piano Didattico Personalizzato, avendo cura di verbalizzare le motivazioni della decisione".

L'autonomia della scuola e dei Consigli di classe
Insomma, più chiaro di così, non si può dire! Nessun consiglio di classe è 'obbligato' a stilare un PDP "anche in presenza di richieste dei genitori accompagnate da diagnosi che però non hanno dato diritto alla certificazione di disabilità o di DSA": cioè, se c'è una diagnosi (fatta da uno specialista clinico) e non una certificazione (per i casi che possono avvalersi della L. 104/92 o dalla L. 170/2010) il Consiglio di Classe può NON stilare un PDP!
Quindi, mentre i ragazzi portatori d'handicap o con DSA hanno diritto per legge al PEI o al PDP, così non per i BES.
Sia ben chiaro, questo non significa non prestare attenzione a questi bisogni; ci mancherebbe! Ma è quello che tutti gli insegnanti italiani hanno sempre fatto, in modo naturale e non burocratico.
Il grave rischio della direttiva sui Bes è quello di vedere l'assalto dei genitori che, con una qualsiasi diagnosi di uno specialista, potrebbero richiedere - e ottenere - un PDP.
Non si tratta, ribadiamo, di non avere la necessaria attenzione al ragazzo: ma il bisogno del ragazzo non può trasformarsi in un diritto del genitore, come spesso purtroppo è successo: un diritto che- sorto nei genitori con le migliori intenzioni - finisce per diventare un boomerang educativamente: perché non raramente si assiste a casi di studenti che si fanno scudo del loro PDP per non impegnarsi con la realtà. Aiutare veramente il bambino o il ragazzo a crescere, significa tutelarlo nei suoi diritti e rispondere ai suoi bisogni: ma il primo bisogno è quello di maturare come persona.
Certamente i docenti devono attivare una didattica personalizzata, che però non può sclerotizzarsi in interventi ope legis, spesso incapaci di rispondere alle vere esigenze degli studenti.

Personalizzazione e libertà
Esattamente come rimarca la Nota: "Il Piano Didattico Personalizzato va quindi inteso come uno strumento in più per curvare la metodologia alle esigenze dell’alunno, o meglio alla sua persona, rimettendo alla esclusiva discrezionalità dei docenti la decisione in ordine alle scelte didattiche, ai percorsi da seguire ed alle modalità di valutazione. In definitiva, la personalizzazione non è mera questione procedurale, che riduce la relazione educativa a formule, acronimi, adempimenti burocratici".
Insomma, questa volta non possiamo che ringraziare il Miur per aver ridetto a piena voce che esiste un'autonomia delle scuole e dei docenti; e che lo scopo è l'attenzione vera ai nostri studenti, non la compilazione di piani che non cambiano l'azione d'aula: sarebbe veramente assurdo che fossero i docenti a non usare questa loro libertà. Per fare questo occorre abbandonare la rassegnazione che serpeggia nelle nostre scuole: molti lo stanno già facendo, e se ne acquista in gusto e passione per il proprio lavoro.