Una buona scuola?

Iniziamo l'anno sotto gli auspici di una 'riforma', legata al documento La buona scuola. Facciamo crescere il paese, presentato dal primo ministro Renzi il 3 settembre scorso.
Il documento andrà analizzato in maniera attenta e giudicato: ci sembra che innanzitutto ogni docente debba leggerlo, non tanto per doverismo o etica professionale, ma innanzitutto perché è importante riflettere sulla scuola a partire dall’esperienza che come docenti e dirigenti facciamo, evitando letture preoccupaste di difendere interessi corporativi (siano di natura sindacale o degli apparati o delle lobby) enfatizzate dai media, con il rischio che il gioco incrociato delle lobby determini un nulla di fatto. E sappiamo che la scuola è una delle istituzioni più conservatrici.
La prima impressione che offriamo ai lettori – come frutto di una lettura ancora parziale – è che il documento abbia voluto intervenire su tutto (forse troppo?). È un materiale accattivante, fluido nella lettura, easy anche nella grafica. Molti giudizi sono ampiamente condivisibili e li abbiamo sempre avuti cari (in primis che il "compito specifico della professionalità […] è, e sempre resterà, la relazione con lo studente."). Su altri siamo più perplessi, visto che a volte appaiono un po’ generici o poco coraggiosi. Su tutto rimane un grande interrogativo: dovremo infatti aspettare i decreti attuativi per capire se e come le buone intenzioni diventeranno realtà, se e quanto il passaggio dalle ipotesi alla legge, le mortificherà e/o stravolgerà.

Spunti interessanti
Certamente ritroviamo nel documento alcuni spunti interessanti. Ad esempio rispetto alla formazione dei nuovi insegnanti, finalmente si delinea una laurea ah hoc, con un tirocinio: ma chi lo seguirà, con quali modalità? Rimane, peraltro, ancora un concorso nazionale espressione di un sempre verde centralismo statalista: perché non puntare sull'assunzione diretta delle scuole?
Interessante anche il voler "valorizzare i docenti che ritengono prioritario il miglioramento della qualità dell’insegnamento/apprendimento attraverso il lavoro in aula". Peccato che subito dopo si dica: "Per fare questo, bisogna rendere realmente obbligatoria la formazione, e disegnare un sistema di Crediti Formativi (CF) da raggiungere ogni anno per l’aggiornamento e da legare alle possibilità di carriera e alla possibilità di conferimento di incarichi aggiuntivi ": siamo sicuri che sia questa la strada, visto che i famosi gradoni per la carriera, in passato, non hanno dato grandi esiti?
Più interessante l'affermazione che "questa formazione obbligatoria non potrà essere calata dall'alto, ma dovrà essere definita a livello di Istituto. Inoltre, la nuova formazione permanente dovrà fondarsi sul superamento di approcci formativi a base teorica, e dovrà essere mutata invece in un modello incentrato sulla formazione esperienziale tra colleghi" facendo leva su 4 elementi: "il ruolo centrale dei docenti nel coordinamento, perché un docente è il formatore più credibile per un altro docente. Secondo, la valorizzazione delle associazioni professionali dei docenti. Terzo, la centralità di reti di scuole […] Quarto, il ruolo cruciale riconosciuto, all’interno della singola scuola, agli “innovatori naturali”, che dovranno avere la possibilità di concentrarsi sulla formazione."
Ci piace tutto questo, perché è quello che abbiamo sempre cercato di valorizzare, ed è quello che la nostra associazione propone nelle Botteghe dell'insegnare; ma capiamo anche che il docente potrebbe essere impigliato nei vincoli di 'progetti', 'piani' , 'programmazioni'– di cui tutti soffriamo – che portano via tempo ed energie, piuttosto che valorizzarle!

Il formalismo
Ecco, a fronte di altri elementi interessanti elencati nel testo (la valorizzazione dell'alternanza scuola lavoro, l'autonomia reale, ecc.) ci sembra che ci sia un limite onnipresente: l'ingabbiamento di ogni azione innovativa, in 'regole', progetti, elenchi di competenze, standard da rispettare, e così via. Così si legge: "Dobbiamo dire con chiarezza cosa ci aspettiamo dal corpo docente in termini di conoscenze, competenze, approcci didattici e pedagogici, per assicurare uniformità degli standard su tutto il territorio nazionale e garantire uno sviluppo uniforme della professione di docente.": quando si parla di approcci didattici e pedagogici in termini di legge… la cosa ci spaventa un po'.
Si prosegue: "Per farlo, un gruppo di lavoro dedicato e composto da esperti del settore lavorerà per un periodo di tre mesi per formulare il quadro italiano di competenze dei docenti nei diversi stadi della loro carriera, in modo che essi siano pienamente efficaci nella didattica e capaci di adattarsi alle mutevoli necessità degli studenti".
E così il rischio è che, in fondo, al di là dei proclami sull’autonomia, un certo centralismo, che in fondo è il vero male della scuola, non venga scalfito. Anzi… Non potrebbe essere questa l’occasione per un vero cammino verso un sistema snello, che in una logica sussidiaria, riduca l’intervento dello stato e valorizzi il protagonismo delle scuole?

Come rivista ci siamo sempre posti dalla parte del docente che entra in aula: è proprio per questo che vorremmo che non venisse minimamente lesa la libertà di insegnamento attraverso tanti proclami di libertà, che poi potrebbero accartocciarsi di fronte al 'quadro italiano di competenze' che – notiamo bene – sarà quello che farà fare lo scatto stipendiale – stabile e continuativo – non accessorio e provvisorio! Che cosa significherà tutto questo?

Staremo a vedere: vogliamo essere fiduciosi. C'è tanta carne al fuoco. Quello che abbiamo avviato con questo editoriale è solo un esempio del dibattito che vorremmo si sviluppasse tra di noi e che potrebbe diventare un contributo al dibattito che il governo ha chiesto per i prossimi mesi.
In ogni caso la scuola è iniziata, stiamo rientrando in classe, incontrando alunni e colleghi. Di una cosa siamo certi già da ora: che abbiamo bisogno di qualche cosa che salvi il momento presente, il fatto che inizierà la grande avventura dell'insegnamento, che guarderemo negli occhi i nostri alunni… e tutto accadrà lì. Per questo abbiamo bisogno ora di un'amicizia operativa che ci sostenga nel nostro lavoro. Il senso del nostro insegnamento non dipende né da una legge né da un progetto di riforma, ma dalla consapevolezza dello scopo e dalla passione che portiamo: siamo insieme per aiutarci nella sfida quotidiana. Ed è per questo che anche quest’anno ci ritroveremo a Bologna per la Convention 2014 di Diesse, a cui invitiamo tutti i nostri lettori: è il modo migliore per fare 'sul serio' la buona scuola.