N.6 - Assumere tutti. Assumere subito. È così che si fa la buona scuola?

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Ben 41 pagine (su 126) della “Buona Scuola” renziana sono dedicate al tema dello smaltimento del precariato scolastico e all’assunzione di «tutti i docenti di cui la buona scuola ha bisogno».
Premesso che anche questa affermazione andrebbe sottoposta al vaglio dell’esperienza concreta (siamo così sicuri che siano proprio necessari tutti questi ulteriori docenti?) e tralasciando il tema economico (dove trovare le risorse? Tagliando Università e Ricerca; o gli stipendi? Forse meglio di no…!), proviamo a concentrarci sul merito di questa parte (importante) della proposta del governo.

Come, infatti, si vuole «chiudere una volta per tutte la questione del precariato storico della scuola italiana»? Sembrerebbe nella maniera più semplice e veloce di tutte, cioè quella di una massiccia immissione in ruolo indiscriminata e a prescindere da ogni altra logica che non sia quella del “diritto acquisito” ad avere il tanto agognato (e in alcuni casi anche meritato, è giusto dirlo) posto fisso con contratto a tempo indeterminato.
È noto, infatti, che il fenomeno del precariato scolastico in Italia è qualcosa di strutturale, tanto che la letteratura scientifica parla al riguardo di una “precarietà istituzionalizzata” (nota 1). I diversi governi che si sono susseguiti nel corso della storia del nostro Paese hanno, infatti, utilizzato la scuola pubblica come bacino di collocamento favorendo la creazione di un illusorio sistema destinato prima o poi ad esplodere. L’assenza di una programmazione del fabbisogno (1), le incertezze sulla formazione iniziale (2) e la propensione al concorso come strumento “normale” di accesso alla professione (salvo poi derogare ad ogni minima pressione contingente) (3) costituiscono le tre “invarianti” della (non) gestione del personale scolastico italiano.

Fin dalla Legge Casati (1859), la previsione di un’assunzione “meritocratica” per concorso venne subito aggirata con la prima sanatoria della scuola italiana, generando una categoria non prevista dalla legge: quella cioè dei docenti c.d. legittimati. Anche nel corso della storia Repubblicana, accanto alla previsione formale di indire concorsi ordinari come previsto dall’art. 97 della Costituzione ci si trova sovente di fronte ad una legislazione “speciale” derogatoria. Basti pensare alla legge n. 477 del 1973 con la quale si decise l’immissione in ruolo attraverso l’istituzione di una graduatoria a esaurimento (che presto si trasformò nella famigerata «graduatoria permanente») e che riconosceva il c.d. “diritto all’inquadramento nel ruolo” (nota 2.).

Limitandoci a questi semplici accenni, si potrebbe dunque affermare: Nihil sub sole novi! Anche in questo caso pressanti esigenze di natura superiore (siano esse di carattere elettorale legate all’aumento del renziano consenso, oppure siano esse strictu sensu tecnico-giuridiche e legate a prossime sentenze vincolanti della Corte di Giustizia Europea) costringono a immettere in ruolo migliaia e migliaia di persone in un sol colpo. Certo, si dirà, è un loro diritto. Vero. Ma un’operazione di questa portata si distingue dal passato solo per il numero (abnorme) di immissioni e per il fatto di farlo in una sola volta. Tanto più che una cifra piuttosto alta di queste immissioni riguarderanno persone che da tempo non hanno contatti reali con la scuola (il documento stesso calcola che sono almeno 43mila – oltre il 30% delle immissioni previste); che qualità dell’insegnamento potranno garantire? Una mossa che sembra guardare più ad esigenze meramente occupazionali, piuttosto che a quelle - sostanziali – di politica scolastica.

Per quanto riguarda poi il c.d. organico funzionale di nuova istituzione, permangono forti dubbi sulla reale efficacia di creare una sorta di “nebulosa” entro cui immettere decine di migliaia di docenti (nella scheda n. 1 del documento se ne stimano oltre 79.000) senza un diretto incarico di insegnamento.

Note:
1. E. Gremigni, Diventare insegnanti nella scuola pubblica italiana, Scuola Democratica n. 1/2013.
2. Art. 16 L. n. 477 del 30 luglio 1973.