N.5 - Insieme per raccogliere la sfida della realtà

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«Il lavoro delle associazioni è prezioso; vi prego di non ridurle solo al livello della rappresentanza, ma di farne luoghi di vera compagnia, di risposta ai problemi reali, dove costantemente si verificano i tentativi che si fanno in una condivisione e in un sostegno reciproco, per poter collaborare sempre di più in questa avventura affascinante che è trasmettere un gusto del vivere ai nostri ragazzi». Concludeva in questo modo il suo intervento lo scorso anno Julian Carrón. È un giudizio che ci ha accompagnato lungo tutto lo scorso anno e che delinea anche la proposta della Convention della prossima settimana: non una vetrina di buone pratiche, ma un luogo di condivisione, perché la sfida educativa del nostro tempo non può che metterci continuamente in gioco. In gioco ci sono io, ci sei tu. Il mio cammino personale, il nostro cammino personale che arriva fino a metterci insieme e ad associarci per raccogliere la sfida che la realtà ci pone. E questo non può che coinvolgere non solo i docenti, ma anche di mobilitare i genitori e tutte quelle realtà che di solito chiamiamo “territorio”. È per questo che proponiamo l’esperienza di una scuola del milanese, dove alcuni insegnanti, con il dirigente in testa, ha rimesso in moto una realtà dove sembrava non potesse accadere niente.

È il reale che ridesta in noi l’interesse - ci dice Angelo, il preside della scuola - Si capisce attraverso l’esperienza quotidiana se la scuola ti fa camminare e ti apre ad uno sguardo che cura il bisogno di ognuno. E con questo sguardo che la scuola rigenera l’io e diventa, come disse l’allora cardinal Bergoglio, «cuore pulsante del quartiere. Essa infatti contribuisce attivamente a stabilire vincoli, a creare identità, a valorizzare gli spazi condivisi, mette in relazione le famiglie tra loro e con gli anziani della comunità locale, con le istituzioni con cui si fonda la vita della città; costituisce, infine un punto di riferimento imprescindibile per moltissime famiglie. L’importante è che sia una scuola ben inserita nella propria realtà e non un’entità sradicata e focalizzata solo sulle proprie problematiche interne». Quello che descrive Bergoglio da alcuni anni lo verifichiamo in una scuola della periferia milanese attraverso tentativi che provano a rispondere al bisogno educativo dei ragazzi attraverso l’educazione informale che rimette in discussione e cambia quella formale. Siamo consapevoli che «ci vuole una educazione di emergenza, perché l’educazione formale si è impoverita a causa dell’eredità del positivismo. Concepisce soltanto un tecnicismo intellettualista e il linguaggio della testa. E per questo, si è impoverita. Bisogna rompere questo schema. E ci sono esperienze, con l’arte, con lo sport…l’arte, lo sport educano! Bisogna aprirsi a nuovi orizzonti, creare nuovi modelli» (Papa Francesco). Abbiamo ricostruito un patto educativo con i genitori che, attraverso la loro associazione, hanno iniziato a condividere gli spazi della scuola e a proporre decine e decine di iniziative e progetti per la scuola e per il quartiere con la “Scuola Aperta”. Con l’Associazione Genitori si è sviluppato il “Progetto Icaro” che coinvolge nell’aiuto allo studio pomeridiano centinaia di ragazzi. Questo percorso ha generato centri educativi stabili in collaborazione con Save the Children. L’esperienza della musica ha fatto nascere una rete di scuole ad indirizzo musicale, un’orchestra del territorio “Orchestra&Note” e la Banda Musicale in collaborazione con la “Banda degli Ottoni” di Milano. Musica, arte e sport con un’attenzione particolare agli orti e ai giardini in collaborazione con Naturasì. Una moltiplicazione di tentativi e opere ha accompagnato la nascita del primo “Patto Territoriale Sperimentale” di Milano che coinvolge la scuola, il Comune, il Municipio 8, le associazioni, le fondazioni e il Politecnico di Milano. Un lavoro dal basso ha messo in moto anche il Comune di Milano che ha promosso un Ufficio di coordinamento per le Scuole Aperte e ha lavorato nella direzione della sussidiarietà finanziando progetti proposti dalle associazioni dei genitori. Soggetti impegnati nella promozione dell’educazione per rischiare in modo ragionevole una risposta all’emergenza educativa soprattutto di fronte all’emergenza immigrati. Si tratta di costruire ponti e non muri. Il fallimento più grande che può avere un educatore, è educare “entro i muri”. Educare dentro i muri: muri di una cultura selettiva, i muri di una cultura della sicurezza che esclude la sfida degli incontri con l’altro.

C’è una scuola viva, cioè una scuola aperta dove la vita pulsa in una doppia direzione, insieme, - non avulsa – dal flusso che scorre al suo intorno. La scuola che si fa centro di vitalità diffusa, ma al tempo stesso che educa chi la abita alla responsabilità e alla bellezza dell’essere cittadini attivi e solidali. È nata così la “Scuola Aperta” come “bottega dell’apprendere” per fronteggiare il fenomeno della demotivazione: la scuola del curricolo e dei laboratori pomeridiani con l’aiuto allo studio, con il cantiere del verde (orti e giardini), i laboratori artistici e quelli musicali con bande e orchestre, il Service-learning, un approccio educativo che bilancia l’istruzione formale e l’educazione esperienziale, in cui gli studenti si impegnano in attività che riguardano i loro bisogni e quelli della comunità.