N. 11 - Le riforme non finiscono mai

All’inizio dell’’Inferno, dopo aver definito la selva tanto amara “che poco è più morte”, Dante afferma di voler trattare “del ben ch’i’ vi trovai”. Per il sommo poeta, dunque, anche nella condizione più tragica l’uomo può trovare un bene.

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Ho pensato a questo verso per consolarmi mentre tornavo dall’ennesima riunione che avrebbe dovuto fare chiarezza sul fatale documento del 15 maggio – data ormai ben più memorabile del “Cinque maggio” manzoniano - e sugli imminenti Esami di Stato. Come ben sappiamo, essi sono stati stravolti da una riforma entrata in vigore ad anno scolastico già iniziato e che interessa proprio l’ultimo anno delle scuole superiori, anziché partire, come pareva a tutti più ragionevole, dalle classi terze: davvero il legislatore non poteva pensare ai tempi necessari per far conoscere, interpretare, sperimentare novità tanto rilevanti? Oppure si pensa che, in fondo, non cambierà nulla e che prevarrà la virtù italica dell’adattamento? L’Italia, come leggiamo nel Gattopardo, è il paese degli accomodamenti, e alla fine un accordo si trova. Ancora una volta dobbiamo constatare che non si è prestato ascolto alla voce degli insegnanti i quali, peraltro, si fanno poco sentire; forse scoraggiati, o intenti a fare altro, o abituati a resistere a tutte le riforme.

La normativa ha introdotto modifiche a tutti i livelli: si attribuisce più valore al percorso dello studente, con il credito scolastico massimo portato da 25 a 40 punti; cambia la prima prova scritta di Italiano, con la scomparsa del saggio breve e del tema storico e con l’introduzione di griglie nazionali di valutazione; la seconda prova diventa “mista” (per esempio latino e greco al classico); viene eliminata la terza prova, la più temuta dagli studenti; per il colloquio sparisce la “tesina” pluridisciplinare curata dagli alunni, sostituita da una relazione sulle esperienze di alternanza scuola-lavoro, ora denominate PCTO (Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento); inoltre gli spunti di partenza per il colloquio pluridisciplinare verranno offerti da qualche testo, documento o immagine contenuti in una busta che il candidato dovrà scegliere fra tre (sic!) preparate dalla commissione; infine le competenze verranno accertate tramite un percorso di “Cittadinanza e Costituzione” che dovrebbe collegare discipline diverse, in vista di un gran ritorno dell’Educazione Civica, previsto per il prossimo anno (!!!). Possiamo aggiungere anche l’introduzione delle prove standardizzate nazionali nel livello 13, cui già quest’anno ha aderito volontariamente il 96% degli studenti.

Fedeli all’esortazione paolina di esaminare tutto per trattenere qualche valore, non si vorrà qui dire che tutte le innovazioni sono sbagliate. Le tracce delle simulazioni di Italiano, ad esempio, sono state accolte per lo più favorevolmente da docenti e studenti, sia per quanto riguarda le consegne assegnate sia per i testi scelti nelle simulazioni; la seconda prova mista può rappresentare un’interessante alternativa, per quanto riguarda per esempio il liceo classico, rispetto all’inveterata versione, così come non appare infondata l’idea di attribuire maggiore importanza al percorso scolastico. Il punto debole appare il colloquio, a partire dallo stratagemma delle tre buste, che ha scatenato le ironie dei social e che presta il fianco a disparità di trattamento tra candidati, per cui sembra ritornare l’alea della sorte in un esame così importante. L’alternanza scuola-lavoro, pur con lodevoli eccezioni, non ha assunto in questi anni un peso culturale significativo nelle scuole, almeno nei licei, per i quali un serio lavoro di approfondimento disciplinare o pluridisciplinare avrebbe avuto più senso; i percorsi di Cittadinanza e Costituzione rischiano di essere improvvisati, scarsamente motivati e poco approfonditi. La conseguenza più grave a cui i docenti sono andati incontro è però la riduzione dei contenuti disciplinari: stretti tra mille incombenze, tra cui la necessità di sperimentare le nuove prove per preparare adeguatamente i ragazzi all’Esame, essi si trovano alla fine dell’anno a dover rinunciare a una trattazione organica di importanti autori e argomenti. Per limitarci all’ambito umanistico, sarà già miracoloso arrivare a far leggere ai nostri giovani qualche poesia di Saba e di Quasimodo, o accennare a qualche tematica di storia successiva alla Seconda Guerra Mondiale. Toccherà ai docenti universitari constatare che tanti nostri ventenni non hanno mai sentito nominare Moro, il terrorismo, Bassani o Fenoglio.

C’è però in tutto questo un nodo cruciale: ancora una volta l’esame di stato sembra essere lo strumento per “costringere” i docenti della scuola secondaria superiore a ripensare contenuti e modalità di insegnamento, perché sono tanti i segnali che la riforma del 2010, di fatto, abbia solo scalfito licei, tecnici e professionali. Per questo il d. leg.vo 62/2017 richiama il fatto che “L'esame di Stato conclusivo dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado verifica i livelli di apprendimento conseguiti da ciascun candidato in relazione alle conoscenze, abilità e competenze proprie di ogni indirizzo di studi, con riferimento alle Indicazioni nazionali per i licei e alle Linee guida per gli istituti tecnici e gli istituti professionali”… Infatti alcune indicazioni risalgono al 2010, come l’invito non solo a scrivere ma a “ideare e strutturare testi” (documento dei tecnici), o ancora a “controllare la costruzione del testo secondo progressioni tematiche coerenti, l’organizzazione logica entro e oltre la frase, l’uso dei connettivi (es. segnali di strutturazione del testo), dell’interpunzione” (documento dei licei).

Forse, il vero dibattito – che non è stato mai davvero aperto - non dovrebbe essere sull’esame di stato, ma su dove sta andando la scuola superiore in Italia e quale preparazione ci attendiamo dai nostri studenti; di conseguenza in questi mesi l’accompagnamento sarebbe dovuto essere non tanto su “come svolgere” le prove, in una sorta di teaching to the test, piuttosto, magari, sul “come ripensare” le prove (e non solo d’esame) in funzione dei profili in uscita definiti per il secondo ciclo.

Un’occasione persa?
Da instancabili ricercatori della verità e del bene, quali siamo noi insegnanti, non è detto che anche da questa circostanza non possa venire qualcosa di buono.
Da qualche collega, ad esempio, è partita la proposta di lavorare insieme per condividere materiali, proposte e giudizi, sperimentare percorsi comuni, utili non solo per affrontare più dignitosamente le nuove prove, ma soprattutto per creare un clima professionale nuovo nelle scuole, capace di rispondere alle nuove sfide poste non solo dalla normativa, ma dalla realtà del nostro tempo. Ciò di cui in fondo abbiamo tutti davvero bisogno.

Gli studenti, poi, stretti tra l’imminenza dell’esame e tempi ridottissimi, avvertono l’esigenza di ripassi e di approfondimenti.
E così, come sempre, alcuni insegnanti, prendendosi cura fino alla fine della delicata fase che attraversano i propri ragazzi, lanciano la proposta: “E se ci trovassimo insieme, fuori dall’orario scolastico, per rivedere qualche argomento prima dell’esame?”