N. 2 - Scuola, educazione e cura del mondo

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Negli scorsi mesi è stato ricordato da più parti il sessantesimo anniversario della Lettera a una professoressa di don Milani, che ha ricondotto al centro del dibattito sulla scuola l’aspirazione di tutti alla conoscenza e il valore dell’educazione a 360 gradi. Com’è noto, il motto della scuola di don Milani era l’inglese I care che può essere tradotto sia con “mi interessa” sia come “mi prendo cura di“. Si tratta quindi dell’espressione insieme di una posizione di fronte la realtà e di una responsabilità verso di essa. Conoscenza, affezione e cura responsabile del mondo si intrecciano esistenzialmente. Compito dell’educatore è permettere al giovane questo incontro e sostenerlo nel dialogo quotidiano.
Il valore aggiunto della scuola e di noi insegnanti, che entriamo in aula con cura e passione, è proprio nella portata educativa del dialogo di ogni giorno, è il tentativo di capire e poi provare a giudicare insieme ai nostri alunni ciò che accade tra i banchi e fuori dalle aule. In questo senso, tutto ci interessa, ogni cosa può diventare oggetto di studio, opportunità di conoscenza della realtà, motivo di affezione e di impegno con essa.
Prendiamo ad esempio la questione ambientale e l’allarme per i cambiamenti climatici sollevato da parte del mondo scientifico e da organismi politici internazionali importanti, nonché da Papa Francesco e dalle migliaia di giovani che hanno aderito alle manifestazioni di protesta del 27 settembre, cosiddetto “Friday for future”.
Queste, soprattutto, hanno sollevato una ridda di pareri ed opinioni che ha messo la scuola e gli studenti al centro del dibattito pubblico per qualche giorno, ma alla fine ha dato voce alla solita guerra di parole che si è spenta poco dopo aver deposto cartelli e striscioni. Tutto, come al solito, sembra “scivolar via” nella risacca mediatica che ogni cosa riassorbe e annulla. Eppure, le proteste giovanili, come l’urlo di ogni uomo di fronte all’ingiustizia e al male, esprimono sempre, pur tra mille contraddizioni, incoerenze e strumentalizzazioni, il bisogno del bello, del buono e del vero per la vita. Insomma, come ci ha insegnato Dante: “ciascun confusamente un bene apprende nel qual si queti l'animo, e disira; per che di giugner lui ciascun contende.” Il problema è che qualcuno raccolga seriamente questo grido, anche se a noi adulti può risultare infantile, acerbo e fastidioso nelle forme.
In molti insegnanti non sono mancate sia la serietà sia l’attenzione ad entrare nel fenomeno con quella cura che donne e uomini di scuola mettono quotidianamente nel loro essere tra i banchi, andando oltre la reattività di certe posizioni o la paura per un futuro incerto e preoccupante, di cui incolpare qualcuno.
Quindi, senza perdere tempo a “condannare la cattiveria dei tempi”, essi hanno proposto e continuano a suggerire cammini di conoscenza nelle varie discipline. Perché la prima difesa dei nostri ragazzi dalla selvaggia bagarre degli apprendisti scienziati da salotto, degli opinionisti da talk-show e dei politici senza scrupoli, è infatti sapere e interpretare i dati, paragonarli con i metodi delle rispettive discipline e a vari livelli del problema, vederli in prospettiva storica e culturale, legarli al vissuto sociale dei popoli, delle culture, delle narrazioni, delle religioni, etc. Si aprono così universi sterminati in cui tuffarsi con la propria ragione e libertà, imparando ad amare il mondo conoscendolo.
Ma non c’è conoscenza vera della realtà se non arriva fino all’apprendimento del significato ultimo della stessa. “Educazione è introduzione alla realtà totale”, ricordava don Giussani, dove il “totale” sta ad indicare quel significato ultimo cui ogni particolare è connesso e da cui trae verità ultima. Un’analisi, pur dettagliata, non è sufficiente perché lascia il giovane ultimamente solo e preda del potere. Nell’accompagnare i giovani in un cammino educativo è necessario avere il coraggio di rischiare offrendo loro un’ipotesi di significato totale con cui paragonare la loro esperienza. Di fronte ad un cambiamento d’epoca - come è stato autorevolmente detto - è necessario ritrovare ragionevoli e solidi punti di riferimento. E non basta proporre genericamente dei valori, ma una responsabilità del fare quotidiano che contribuisca a creare una visione positiva – seppur drammatica – di sé e del mondo.
Anche sulla questione ambientale, vi può essere una prospettiva diversa di guardare al problema, quella indicata già alcuni anni fa nell’Enciclica Laudato si’ da Papa Francesco, che ha una grande attenzione all'ambiente e al clima, però non lo slega dal riferimento all'uomo, perché la natura è per l'uomo, è per il suo bene. Per questo la domanda da prendere sul serio è la domanda sull'uomo, sul senso del suo vivere, sullo scopo del suo esserci su questa terra. Qui sta la questione della nuova “ecologia integrale” di cui ci parla Papa Francesco: per il fatto che la vita ha un senso l'uomo si prende cura della natura; per il fatto che la vita porta in sé il segno della sua misteriosa origine, allora il rapporto con la natura mantiene una sacralità affascinante. È l'umano da mettere al centro, il percorso di maturità del singolo e la sua scoperta che l'altro uomo è una ricchezza. Attraverso queste premesse gli uomini, per vivere insieme al meglio, possono prendersi cura della natura e non sfruttarla con modalità egoistiche ed opportunistiche.
È una nuova idea di educazione ambientale, che non idolatra la natura, ma che partendo dalle esigenze più vere dell'uomo la restituisce interamente a lui.
Al di là di ogni polemica sui “Frydays for future”, sul fenomeno Greta e sulla possibilità o meno di influenzare il clima del nostro pianeta, siamo consapevoli che, spenti i riflettori delle proteste, il problema va affrontato quotidianamente, liberandolo dalle parzialità riduttive con cui spesso è posto, e in questo la scuola può offrire tante opportunità di coscienza, di costruttività e di cambiamento.