N. 3 - Io leggo: perché?

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Nelle prime due settimane di novembre, le città, le librerie, le biblioteche e le scuole italiane di ogni ordine pullulano di svariate iniziative relative alla lettura. Sull’importanza della lettura ci sarebbe tanto da dire, ma vorremmo richiamare qualche aspetto legato alle attività didattiche di routine.

Il primo. Per quanto possibile, i testi vanno letti integralmente, non fatti “a pezzi”: solo così i bambini e i ragazzi possono davvero entrarvi dentro, avere con essi un rapporto vivo, incontrare l’autore che scrive fino a diventarne amici. Da qui, la scelta di molti insegnanti (che a quanto pare rappresentano una minoranza anche nelle discipline umanistiche) di non rinunciare alla pratica della lettura in classe, guidando e facendo gustare la lettura completa di un testo, piuttosto che proporre uno spezzatino enciclopedico quasi da macellai, “brandelli” di testi vivisezionati attraverso astratte analisi linguistiche, che spesso azzerano il gusto della lettura e della conoscenza.

Seconda considerazione, legata alla prima. Il filosofo Massimo Borghesi in un saggio afferma: “Noi, figli dello strutturalismo –declinazione del positivismo–, rischiamo di frantumare il sapere nelle sue strutture, perdendo in esse il primato del soggetto (…), l’io, nel tentativo di oggettivare il sapere”. Il soggetto pensante, cioè, si dilegua dietro le “strutture” da oggettivare ed esaminare. Ma se nel processo d’insegnamento non si presta attenzione al soggetto che apprende, alla sua reale comprensione, cui prodest? Questo modello riguarda l’approccio ad ogni disciplina scolastica, e secondo Borghesi è alla base dello iato che si è venuto a creare nei nostri ragazzi tra conoscenza e curiosità o inter-esse (secondo la sua etimologia). Spesso i nostri giovani imparano meccanicamente tante nozioni, ma sfugge loro la connessione tra le informazioni e, soprattutto, la relazione dei contenuti con sé stessi. E quante volte l’apatia dei nostri ragazzi è figlia di analisi e vivisezioni propinate dai libri su testi, che invece andrebbero anzitutto goduti? Ciò vale anche riguardo ai testi scientifici, secondo Borghesi, perché anziché proporre pagine e pagine di descrizione arida, i ragazzi andrebbero anzitutto accompagnati a una comprensione della realtà che invece è affascinante.

Terzo aspetto: cosa leggere, in particolare per le discipline umanistiche? Sicuramente i classici, sebbene alcuni avanzino forti riserve. Anzi, nell’esperienza di molti docenti, sono proprio gli alunni con più difficoltà ad aprirsi, ad amare, ad avere bisogno ed entrare in una relazione veramente viva con i classici. Certo, occorre accompagnarli nella comprensione, ma tanti continuano ancor oggi a far esperienza di “essere letti” da Omero, Dante, Leopardi, Platone, Freud o Einstein, perché – come precisa ancora Borghesi – “i classici indicano i punti più alti dell’umanità, quelli in cui l’umanità ha compreso con più profondità sé stessa. Uno, il classico, studiandolo, lo impara per tutta la vita, se lo porta dietro perché con esso impara immagini dell’umano, immagini che formano la propria umanità”.

E i giovani che a scuola riescono a fare un’esperienza viva di lettura saranno di certo più pronti e abili nello scoprire – anche nel mare magnum della produzione contemporanea – scritti di valore, nuove icone dello spirito e della creatività umana.