N. 7 - Se il docente per legge diventa anche tutor

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Una delle novità che interesserà alcuni studenti a partire dall’anno scolastico prossimo riguarda la presenza del docente tutor tra le aule delle scuole superiori. L’idea del ministro Valditara in realtà non è nuova: con la legge 53/2003 (la cosiddetta riforma Moratti) si era tentato di rendere tale figura una funzione di sistema. Adesso, restaurato un po’ il proposito, e soprattutto reso possibile dai 150 milioni del fatidico PNRR, si vuol provare a offrire agli alunni più fragili, meno motivati o “performanti” un accompagnamento più specifico che riesca a scardinare alcuni gap presenti nel mero processo di insegnamento-apprendimento.

L’idea è sicuramente apprezzabile come proposito: da un lato perché va nella direzione della tanto auspicata personalizzazione della didattica, dall’altro perché chiede ai docenti più disponibili di prendersi cura di alunni particolarmente fragili, riconoscendo anche economicamente l’operatività adeguata del docente. I tutor dovranno operare al di là dello schema fisso della classe che, a volte, si rivela per lo studente un’entità penalizzante. Attraverso l’OM 63, inoltre, viene anche aperta la strada alla dibattuta questione della carriera docente.

Insomma, una piccola rivoluzione; ma – chiediamoci – sarà buona o cattiva? Come succede per tante leggi, tanto dipenderà dalle sue modalità attuative. Al di là delle necessarie indicazioni di massima, auspichiamo che nell’applicazione dell’ordinanza ministeriale non debba prevalere una preoccupazione di tipo formale: lo scopo assoluto deve rimanere la risposta ai reali bisogni, formativi ed umani, degli alunni che saranno destinatari del nuovo provvedimento. Ciò vale sia per i docenti “tutor” che per quelli “orientatori”, come previsto tra le indicazioni specifiche dell’ordinanza.

Per un apporto positivo delle nuove disposizioni legislative, è anche necessario che esse si sottraggano ad altre logiche: sia a una rigida logica sindacalistica sia alla diffusa logica centralistica, secondo cui è meglio decidere tutto per decreto, soffocando però le emergenze di natura educativa, formativa e organizzativa che nascono nelle varie situazioni concrete della nostra Italia tanto “lunga e larga”. Il DPR 279 del lontano 1999 basterebbe, in tante situazioni, a dare risposte adeguate ed originali a bisogni che emergono in certe realtà specifiche, ma a volte non si ha il coraggio di battere strade nuove in modo leale e collegiale. Allo stesso modo non ci si può permettere la logica di chi pensa che, finché ci siano i soldi, i bisogni educativi si possono affrontare, mentre quando le risorse economiche scarseggiano è impossibile tentare di risolvere criticità particolari.

Il docente può stare bene nel suo ruolo di educatore professionista solo quando può essere partecipe dei tentativi, delle idee e delle risorse della comunità educante, e così è nelle condizioni di contribuire realmente a cambiare e migliorare un pezzo della realtà scolastica che gli è affidata, coinvolgendo anche i suoi alunni in un atteggiamento proattivo di miglioramento e di crescita.